Sport, impegno, passione

di Valentina Bonzi

Tredici anni fa scoprii, quasi per caso, l’esistenza della ginnastica ritmica. Una mia compagna di classe alle scuole elementari praticava questo sport, e la sua mamma ne aveva parlato alla mia. Cosí decisi di provare. A sei anni compiuti da qualche mese, entrai nella palestra di un liceo che, tra l’altro, qualche anno dopo avrei deciso di frequentare. Davanti a me vedevo ragazze e bambine che si muovevano elegantemente come ballerine, ma il loro muoversi era accompagnato da piccoli attrezzi: palla, nastro, cerchio, clavette, fune. Fu amore a prima vista, tanto che per i successivi dodici anni sarebbe stato irrinunciabile nella mia vita. Devo tanto a questo sport: non esagero dicendo che in parte mi ha forgiata come persona, e mi ha dato importanti insegnamenti di vita.
La ginnastica ritmica è una disciplina in cui l’impegno mentale supera quello fisico. Certo, è necessario tanto esercizio di potenziamento, di scioltezza e di danza, ma il lavoro di testa è prevalente. Una ginnasta, a seconda del livello che raggiunge, si allena dalle 9 alle 48 ore settimanali: dopo il riscaldamento prova continuamente i suoi esercizi, composizioni di passi ritmici, salti, equilibri, lanci e maestrie compiuti con un attrezzo. L’obiettivo? Il controllo del corpo, riuscire a eseguire il tutto alla perfezione. Per fare questo gli strumenti sono impegno, dedizione, grinta e concentrazione. I valori che mi ha trasmesso questo sport possono essere riassunti nei vari momenti che scandiscono una gara. Prima di entrare in scena, prima di salire sulla pedana (una sorta di moquette su cui ci si esibisce), è il momento dell’agitazione: da lí a poco si verrà chiamate a mostrare il proprio esercizio, che è il frutto di tanta fatica e tanto lavoro. Ogni ginnasta vive questo momento a modo suo (c’è chi è piú tranquillo e chi no). Io personalmente cercavo di caricarmi in tutti i modi possibili per cercare di trasformare l’agitazione – sempre troppa – in adrenalina. Schiaffi sulle cosce, salti, incoraggiamenti. A fianco a me in questo momento c’erano sempre le mie allenatrici.
Primo insegnamento: il rispetto nei confronti di chi ti è superiore. Questo non significa andare sempre d’amore e d’accordo, ma guardare il tuo allenatore come colui che ti aiuta a crescere, maturare, ma soprattutto a trovare e dimostrare il tuo valore. Poche parole, gli ultimi consigli e poi – dopo aver sentito al microfono chiamare il proprio nome – un respiro profondo, l’asciugamano con cui mi asciugavo le mani sudate per l’agitazione veniva buttato con forza a terra, e via! Testa alta, sguardo deciso e sicuro, ed entravo in pedana.
Mostrare buon viso a cattivo gioco: un’altra preziosa lezione. In qualsiasi prestazione (sportiva, scolastica, lavorativa) l’atteggiamento, pur non essendo la parte piú importante, ha comunque un certo peso. Mostrarsi convinti e sicuri delle proprie competenze significa partire con una marcia in piú.
Tornando alla gara, è il momento centrale: l’esercizio, l’esibizione vera e propria. Un’esecuzione dura in media dal minuto ai due minuti e mezzo, e in questo brevissimo tempo una ginnasta deve eseguire tutto alla perfezione. Non c’è possibilità di tornare indietro, di rifare quello che si è sbagliato. In quel minuto si concentrano mesi e mesi di lavoro, di sacrifici, di fatica, e basta un lancio un po’ troppo lungo non ripreso, un po’ di incertezza che ti fa cadere da un equilibrio a rovinare tutto.
Il secondo insegnamento è nel godere di quello che si fa. Carpe diem: cogliere questi secondi e sfruttarli al meglio, ma soprattutto goderseli, perché uno sport è, prima di tutto, divertimento. Appena comincia la musica i mille pensieri che vagavano per la mente svaniscono, perché la mente si focalizza su ogni singolo passo dell’esercizio. È il minuto piú intenso e piú breve di tutti, perché la fine arriva prima che te ne accorgi. Quel che è fatto è fatto, il tempo è passato e il giudice valuterà ciò che ha visto.
Come in ogni sport, il grande atleta non è quello che non sbaglia mai, ma quello che, dopo l’errore, si rialza, ed è piú determinato di prima. Insegnamento numero tre: lasciarsi l’errore alle spalle. In un esercizio che dura novanta secondi non c’è tempo di disperarsi, arrabbiarsi, né di recuperare. Sbagli e sai che il punteggio si abbasserà, che magari quell’imperfezione comprometterà il tuo risultato, ma il tempo per pensarci è a fine gara. Devi raccogliere l’attrezzo perso, rialzarti da una caduta e andare avanti come se nulla fosse successo. Lo chiamano mascherare e ti insegna ad agire un passo alla volta, dimenticandoti di quello precedente.
Che sia andata bene o male, a un certo punto la musica finisce. La ginnasta si rialza, saluta il pubblico e la giuria ed esce. Fuori dalla pedana, dopo le allenatrici, solitamente, si trovano altre persone fondamentali: le compagne, la squadra. Sono lí con te a sostenerti, a prescindere dall’andamento della gara. I rapporti che ho stretto con le mie compagne sono stati unici. La fiducia, la stima che ciascuna aveva dell’altra sono state la chiave per formare una squadra compatta, e dunque vincente. Ho sempre creduto che la bellezza di uno sport non sia solo nell’attività in sé, ma nell’ambiente che trovi, nel gruppo che si crea. Ti aiuta a superare la fatica degli allenamenti, la tristezza dopo una delusione.
Rispetto, impegno, capacità di reagire di fronte all’errore, amicizia, riuscire a gestire al meglio ogni singolo minuto. È incredibile quanto possa trasmetterti uno sport: al diavolo chi reputa l’attività fisica di secondaria importanza, qualcosa che porta via tempo allo studio. In dodici anni non ho mai saltato un allenamento per colpa della scuola, e sono sempre riuscita a gestire tutto. Se c’è passione e voglia di fare, l’organizzazione viene da sé.
Mi auguro, ora che mi trovo dall’altra parte a rivestire il ruolo di allenatrice (o maestra, per usare le parole delle mie bambine), di riuscire a trasmettere tutto questo alle ragazze che per la prima volta entrano in palestra, sperando che, un giorno, possano scrivere parole come queste sullo sport, per me piú bello di tutti.