Storia e memoria

di Aldo Badini

Quest’anno dalla prima prova scritta degli esami di maturità è stata tolta la traccia di storia. Minuzie di scuola, si dirà, se non fosse che questa cancellazione può essere letta come un piccolo segno del crescente disinteresse verso questa materia. Si vive anche senza saper distinguere gli Etruschi dai molluschi, per carità, ma la Storia non è fatta solo di nomi e di date, perché è molto di piú, è la nostra memoria collettiva, e perderla può essere un guaio.
La perdita della memoria, infatti, non è soltanto un fenomeno che colpisce i malati di Alzheimer, ma è qualcosa di piú generale, una privazione che impoverisce tutti noi e ci toglie spessore. Non mi riferisco a un disturbo fisico, a una vera e propria malattia, ma a una condizione psicologica, al nostro modo di vivere in un tempo che dà valore solo al presente e associa il passato alla vecchiaia e ad altre immagini moleste, che ci preoccupano e che preferiamo evitare.
La nostra società è appiattita sull’oggi e orientata al domani, apprezza ciò che è nuovo e svaluta il suo contrario, abituata ormai da decenni di consumismo a rimpiazzare velocemente gli oggetti di uso quotidiano, fabbricati non per durare, ma per deteriorarsi sempre piú presto, in un perpetuo circuito di produzione e distruzione, che a ben pensarci appare un po’ demenziale.
E cosí, educati dall’economia moderna e dai persuasori al suo servizio a buttare via le cose usate e a sostituirle con altre fresche di fabbrica, non ci siamo accorti che poco alla volta abbiamo trasferito questo amore per il nuovo e per il cambiamento anche alle relazioni piú profonde, che coinvolgono l’ambito politico, il sociale, i rapporti interpersonali. Ci stanchiamo presto dei leaders e dei partiti di governo, e quasi a ogni tornata elettorale bruciamo quelli precedenti, insoddisfatti del loro operato, illusi e speranzosi che i successivi sapranno fare di meglio.
È un meccanismo mentale che opera anche nelle relazioni affettive, e che spinge a strappare, anziché a ricucire e a rinsaldare ciò che si logora. Ma lasciare che i fili si spezzino ha costi maggiori di una camicia, quando si lacera la trama di un amore che ci ha nutrito e ci ha dato senso.
Ecco perché è importante la memoria, la valorizzazione del passato, il ricordo di ciò che è stato. Noi, infatti, siamo composti di passato, siamo la sintesi di un immenso processo di accumulo che è incominciato alla nascita e si è realizzato giorno per giorno con la costruzione di esperienze, di incontri, di affetti, di conoscenze, di saperi: una sterminata quantità di dati che si sono fusi nella memoria, nella psiche, e hanno creato la nostra personalità, quello che siamo ora.
Senza memoria, senza storia non si vive; o meglio, si sopravvive, condizionati dai limiti che i brandelli di ricordi consentono, come malati di Alzheimer, appunto.
E questo non vale solo per il presente, ma anche per il futuro, dal momento che il domani lo edifichiamo con i materiali di cui disponiamo ora e che abbiamo preparato negli anni. Il nostro vivere nel tempo, andare verso il futuro, è un cammino un po’ particolare; non assomiglia a un viaggio su strada, a un percorso in cui vediamo bene ciò che sta davanti: è simile invece alla navigazione dei vogatori, che procedono sull’acqua dando le spalle al senso di marcia, con gli occhi rivolti al tragitto compiuto.
Cosí noi: conosciamo bene ciò che è stato, e solo sulla base di questa esperienza possiamo immaginare il futuro e cercare di progettarlo; solo se siamo ricchi di una storia abbiamo gli strumenti per costruire altre storie.
Ecco perché ri-cordare è importante, perché, come dice il significato della parola, occorre tornare al cuore, alle memorie e alle esperienze di cui si è nutrito e che sono il centro e il motore della vita. Diversamente, ridotti a un presente senza radici, saremo individui leggeri, senza consistenza e senza peso, privi di quella consapevolezza critica che viene dalle esperienze vissute, meditate e ricordate; e saremo una società disancorata, ignara di essere grande e ricca grazie all’eredità delle precedenti generazioni, ma anche esposta al rischio di ripeterne gli errori e le tragedie, perché, come dice un noto aforisma, chi non conosce la propria storia è condannato a ripeterla.