Tracce

di Carlo M. Ferraris

Un ricordo da ragazzino scout sulle alture sopra il quartiere genovese di S. Fruttuoso, in un boschetto di alberi bassi e radi, ora un quartiere cittadino.
Dovevamo fare una gara tra squadriglie, ognuna composta da circa sette scout: il capo aveva lasciato nel bosco alcune tracce e vinceva la squadriglia che ne trovava di piú. Alla fine della gara risultò che ogni squadriglia aveva trovato una trentina di tracce, ma il capo ne aveva lasciato solo venti!
Il gioco non era riuscito, ma quell’episodio mi è rimasto nella memoria: per me è stata la prima lezione di relativismo, di come la realtà possa essere vista e interpretata in modi diversi. Io credo nella realtà oggettiva, ma credo anche che non ci siano due occhi che la percepiscono allo stesso modo. L’esperienza mi ha portato in particolare a meditare su un aspetto della vita di ogni uomo che piú ne coinvolge il pensiero e l’azione, una questione esistenziale: la percezione di Dio e la sua rappresentazione. Non mi riferisco alla questione dell’esistenza di Dio, che credo sia superiore alla portata della mente umana. Qualunque sia la risposta, interessa comunque il modo di percepire e descrivere Dio: soprattutto come se ne trovano, o si crede di trovare, le tracce nella propria vita e nel mondo che ci circonda.
Un primo modo di descrivere Dio lo troviamo proprio nelle prime pagine della Bibbia, dove leggiamo che Dio creò l’uomo «a sua immagine». Il senso di questa affermazione è da ricercare nell’essere l’immagine qualcosa che ne richiama un’altra pur non essendolo, ma da questa affermazione è derivata, nella storia dell’ebraismo e poi del cristianesimo, una rappresentazione di Dio in forma umana, non solo nell’iconografia, ma anche in moltissime espressioni di fede.
È interessante un’interpretazione rabbinica secondo cui la citata affermazione della Bibbia è la piú alta espressione della Torà, in quanto vi si afferma il valore assoluto della dignità dell’uomo, paragonabile solo a Dio.
Si dice che Dio ama l’uomo come gli uomini si amano, ma infinitamente di piú perché egli è infinito; che egli è «geloso » quando gli uomini cercano un altro soggetto o oggetto da adorare, e inoltre gli si attribuiscono via via sentimenti paterni o materni, preoccupazione, approvazione, rimprovero o condanna per il comportamento degli uomini e del popolo. Il popolo di Dio è visto come la sposa, che Dio ama anche quando viene tradito.
Questa rappresentazione antropomorfica di Dio è ancora piú accentuata da quella che a me sembra una forzatura, cioè voler riconoscere i sentimenti e la volontà di Dio anche in quei passi della Bibbia che hanno già sufficiente significato nella loro forma originale.
Un esempio singolare di come si cercano e trovano tracce e pensieri di Dio è il passo di Ezechiele (dal cap. 36) che la liturgia romana propone nella veglia pasquale, dove Dio rimprovera il popolo per i crimini e l’idolatria commessi, e dice che lo disperderà, ma un giorno, purificato, lo riunirà nuovamente nella sua terra. In questo passo l’interpretazione cristiana, forse un po’ fantasiosa, legge un riferimento alla venuta di Gesú e la sua morte e resurrezione.
C’è poi l’interpretazione di alcune componenti politiche dello stato di Israele, ancor piú arbitraria, che pone questo e altri passi della Bibbia a fondamento della conquista e occupazione della Palestina. Mi pare sempre arbitrario, e comunque poco corretto, andare oltre ciò che sta scritto, e, in particolare nel passo di Ezechiele, la speranza della liberazione del popolo dalla schiavitú babilonese.
La percezione antropomorfica di Dio facilita anche i riferimenti a lui in ogni occasione della propria e dell’altrui vita. Qualunque cosa dobbiamo subire o di cui possiamo godere è attribuita alla «volontà di Dio», quasi che in ogni momento egli sia intento a muovere le leve del quadro di comando di tutto l’universo. Mi aveva sorpreso in particolare l’approccio di Benedetto XVI: sembra che egli sapesse tutto di Dio, per affermare, con serena certezza, «Dio vuole…» o «Dio non vuole…».
In una commedia genovese di Gilberto Govi la domestica (immancabile figura della saggezza popolare) dichiara: «Io sono atea, e ogni giorno ringrazio Dio di esserlo». Questo modo di esprimersi è in fondo una conseguenza del linguaggio metaforico che accomuna credenti e non credenti: la vita di tutti giorni è fatta di pensieri e di decisioni, di cose che si riescono a fare e di cose che si subiscono, e attribuire lo svolgersi delle vicende della vita all’intervento di Dio (o degli angeli, o della Madonna, o dei santi) è linguaggio comune, senza consapevole riferimento a figure sacre. Quante volte abbiamo sentito citare la Provvidenza quando qualcosa è andato a buon fine! Si potrebbe dire che è un peccato contro il secondo comandamento, ma certamente nell’animo di chi pronuncia questa e altre frasi simili non c’è alcuna temerarietà, si tratta semplicemente di espressioni figurate.
Non ho sufficiente conoscenza delle religioni non bibliche per estendere a esse il mio discorso. Concludo dunque con un’osservazione di carattere antropologico.
Sembra di dover rilevare una radicale contraddizione tra la concezione dell’uomo e della sua libertà contenuti nel vangelo, dove piú volte ne viene esaltata la dignità («il sabato è per l’uomo» … «qualunque cosa legherete» … «è piú importante quello che esce dalla bocca»… «saremo giudicati per quello che avremo fatto al prossimo» …) e la concezione pessimistica che troviamo da san Paolo in poi: «Tutto il bene che faccio è Cristo che lo fa in me … il male che faccio è un cedimento al Maligno».
Non mi sembra logico e dignitoso affermare che ogni cosa che l’uomo fa è conseguenza di un o un no a sollecitazioni esterne, quasi che le meravigliose opere dell’ingegno, della fantasia o della bontà umana siano state realizzate con la mano dell’autore guidata dall’alto, o che dei crimini, dei genocidi, degli stupri o di altri orrendi delitti o comportamenti che hanno come conseguenza la fame, la miseria e la povertà di gran parte dell’umanità non si dovesse attribuire la piena responsabilità a persone o gruppi o comunità o aggregazioni sociali e politiche.
Attenzione dunque a leggere le tracce…