Un Messia sofferente e regale (Luca 18, 31-43)

di Carlo M. Ferraris

Il riconoscimento di Gesú come messia attraversa le due sezioni di questo brano di Luca: un messia avviato alla passione, ma anche capace di risanare.

L’annuncio della passione

Nel vangelo di Luca questo è il terzo annuncio della passione. Il primo è nel cap 9, 22:

Il Figlio dell’uomo – disse – deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno.

Il secondo ancora nel cap 9, 44-46:

Mettetevi bene in mente queste parole: il Figlio dell’uomo sta per essere consegnato nelle mani degli uomini. Essi però non capivano queste parole: restavano per loro cosí misteriose che non ne coglievano il senso, e avevano timore di interrogarlo su questo argomento.

Questi primi due annunci precedono la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme. Il terzo annuncio contiene anche la consegna ai pagani, la derisione e gli insulti, rendendo piú drammatico il quadro della passione, e piú difficile da accettare.
I tre annunci sono riportati, quasi con le stesse parole, anche da Matteo e Marco. Si tratta dunque di una tradizione confermata, certamente derivante dalla convinzione di Gesú che con la sua predicazione sarebbe andato incontro alla piena ostilità delle autorità religiose e dei farisei, verso i quali piú volte aveva rivolto aspre critiche.
Nel quadro della previsione dell’imminente passione citiamo ancora: «non è possibile che un profeta perisca fuori da Gerusalemme » (13, 33), segno che non solo Gesú si aspettava un esito tragico della sua missione, ma paradossalmente lo riteneva necessario. La previsione dell’imminenza della passione è un motivo di riflessione collocato lungo il cammino verso Gerusalemme, traccia specifica del vangelo di Luca.
In tutti questi passi sono riportate l’incomprensione e la tendenza alla rimozione da parte degli apostoli, e qualche versetto dopo è spiegata chiaramente: «era vicino a Gerusalemme ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all’altro». Si può anche mettere in relazione l’incomprensione dei discepoli con la vista perduta e riacquistata dal cieco di Gerico, dove le parole di nuovo sono ripetute tre volte, quasi a indicare un modo nuovo di vedere.
Da un punto di vista critico ci si potrebbe domandare se quanto riportato nei vangeli corrisponda a quello che ha detto Gesú: sono molti gli studi tendenti, con esiti poco sicuri, a scoprire l’identità storica di Gesú, quindi è con questa riserva che cerchiamo una risposta alla domanda. In caso affermativo ne deriverebbe una riflessione sulla realtà della resurrezione, in quanto è facile immaginare che la speranza di rivedere il maestro inducesse i discepoli a visioni individuali o collettive suscitate dal ricordo degli annunci fatti lungo il cammino. L’ipotesi opposta potrebbe essere che l’esperienza della passione e la certezza soggettiva della resurrezione di Gesú inducessero ad arricchire di particolari la previsione, o il timore, di Gesú circa l’esito della sua predicazione.

Il cieco di Gerico

Il racconto del cieco di Gerico si trova anche in Matteo e Marco, ma in Matteo i ciechi sono due. Luca lo riprende quasi letteralmente da Marco, ma lo descrive mentre si avvicinava a Gerico, invece Marco lo colloca in uscita. Siamo verso la fine del viaggio a Gerusalemme, e a Luca interessa il contenuto del racconto e non la collocazione topografica, e neppure il nome del personaggio, che Marco chiama Bartimeo (figlio di Timeo). La traduzione che ho sotto gli occhi riporta: «Arriva Gesú, il Nazareno», mentre un’altra traduzione riporta Nazoreo – membro consacrato di un gruppo religioso radicale –, titolo ritenuto equivalente.
Il cieco invoca Gesú come «figlio di Davide»: si potrebbe pensare che lo ritenesse il Messia (le cronache riportano che a quel tempo molti si presentavano come Messia) o che lo Spirito gli suggerisse questo modo di vedere Gesú. La portata di questa espressione va considerata per il senso che a essa hanno voluto dare gli evangelisti. In particolare Luca sembrerebbe voler porre l’accento sulla prossimità dell’arrivo a Gerusalemme e quindi del compiersi dell’evento messianico. É posto in risalto il contrasto tra l’ostilità dei seguaci di Gesú verso il cieco mendicante e la successiva nota dopo il miracolo: «E tutto il popolo, vedendo, rendeva gloria a Dio».
Da notare ancora l’assenza di particolari gesti significativi del processo di guarigione, che invece troviamo nei sinottici, ma semplicemente una domanda: «Che vuoi che ti faccia? » e un ordine: «Abbi di nuovo la vista». Gesú non ha piú la veste del guaritore, ma assume ormai un comportamento regale: basta un ordine.
Il tema messianico e l’atteggiamento regale di Gesú ci danno la chiave per mettere in relazione questo passo con il precedente. Sono due momenti del viaggio verso Gerusalemme: l’annuncio della passione rappresenta il rischio di un esito negativo, ma dal quale sorgerà una vita nuova, mentre l’atteggiamento regale prelude alla glorificazione in «un regno che non è di questo mondo».
Altro motivo ricorrente in ambedue i passi, e anche in altre parti dei vangeli, l’incomprensione di coloro che seguono Gesú. I discepoli credono in una prossima manifestazione del regno di Dio in forme gloriose e trionfanti, i discepoli e la folla non capiscono l’atteggiamento di Gesú verso persone moleste o isolate dalla società del tempo per la loro impurità, come il cieco di Gerico, una condizione che per l’ebraismo biblico non consente contatti.